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Coronavirus, racconti di quarantene immaginate

Oggi non consiglio libri e fumetti da leggere in auto-quarantena, ma scrivo (micro)racconti da dare in pasto ai miei lettori. Il momento è tanto insolito che, questa volta, non mi sono limitata a #leggercisù.

Lo spazio per i commenti è alla fine del post o su tutti i social network a cui sono iscritta.

Una, nessuna e centomila… quarantene.

Assiste la moglie con il solo conforto giornaliero del giro del quartiere. Sopporta il calvario della quotidianità rubata. Tollera persino l’acqua che cade in terra, l’alzarsi di notte per accompagnarla in bagno. Tutto perché ogni giorno può vestirla per andare a fare quella passeggiata e respirare un po’ il mare. Ora la spiaggia è ancora lì, a pochi metri da casa loro, ma non ce la può portare. Ha pensato di dire che è come portare a spasso il cane, ma ha capito che dirlo ad alta voce lo renderebbe vero. Così aspetta le dirette televisive del Governo come la dose giornaliera di miele, come l’ora d’aria che non ha più.

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Sono anni che accumula libri in attesa di una pausa. Ha scoperto di non poter nemmeno lavorare da remoto. Ora è pronto a collaudare la poltrona. Si acciambella come nei dipinti vittoriani. Si stropiccia perfino la vestaglia per entrare nel personaggio. Rimpiange quasi di aver smesso di fumare. THUNDER. Sobbalza, è Thunderstruck , ovvero il telefono che si è dimenticato di staccare. Scopre che la sua amica di Bologna non può tornare a casa. Tira fuori l’altra poltrona, quella schifosamente senza personalità di cui voleva liberarsi… e la mette accanto alla sua.

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Si contorce sotto i colpi di quello che sembra un calzascarpe di legno. Non produce alcun suono, ma il contraccolpo è comunque difficile da superare. Io che l’ho vista solo con gli occhi della guardona del palazzo accanto, non riuscirò comunque a distendere le spalle per diverse ore. Se si facesse sentire, qualcuno potrebbe chiamare qualcuno che chiamerebbe qualcuno che la aiuterebbe a uscire di lì entro sera, ma non lo farà. Starà a casa fino a quando dovrà perché non intende rischiare di contagiare le persone a cui tiene davvero, così resta con chi non le importa di contagiare. La sua rivincita è fatta di oggetti non disinfettati.

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Sta disegnando, è sotto consegna. Non può fermarsi proprio ora, nemmeno quando la sorella lo informa che il pranzo è pronto. Quando si alza per andare a mangiare la pasta è fredda, e la radio è rimasta accesa. Scoprirà così di avere davanti settimane in compagnia di quel nuovo fumetto che gli hanno chiesto di inchiostrare. Guarda fuori dalla finestra, il cemento non gli sorride di rimando. Sembra tutto regolare dopotutto. Saranno settimane di fuoco, in cui i committenti si accorgeranno di ogni minuto di ritardo sulla consegna. Lo aspetta più lavoro del solito, ma questa volta gli converrà aggiornarsi sulla cronaca giorno per giorno, tanto per non risvegliarsi nel capitolo perduto del Giorno dei trifidi.

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Un bambino gioca con una macchinina sul davanzale della finestra. Saranno un paio di centimetri più del giocattolo stesso, eppure sono sufficienti a farle da strada. Brum. Brum. Giocherà su di ogni centimetro di casa sua, perché non è possibile andare al parco. Non ha ben chiaro perché, ma non deve nemmeno andare all’asilo, ha capito che fuori c’è un virus cattivo per cui è meglio stare a casa, al sicuro. Crede che nessuno lo sgriderà se giocherà con la macchinina ancora un po’, così continuerà a farlo.

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Non ha scelto di non avere una casa, è sembrata la cosa più sensata da fare quando ha perso il lavoro. Che poteva fare, tornare dall’ex marito con la coda tra le gambe? No, l’unica era cominciare a popolare le panchine della città. Le stazioni. Le palestre. Insomma, quei posti in cui un uomo che dorme in un angolo non fa scalpore. Ha sempre contato sulla sua doccia pubblica, sulla focaccia invenduta di un panificio di sua conoscenza. Ora sa di dover far affidamento su quei religiosi a cui avrebbe voluto fare lo sgambetto per tutta la vita. Reciterà anche le avemaria, se necessario. Ha conosciuto una volontaria con cui condividere la sua passione per Lucio Dalla. Ora anche la minestra della mensa comincia ad avere più sapore.

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Le piace farsi scompigliare i capelli dal vento, come una di quelle eroine dei romanzi che leggeva da giovane. Così quando si alza la Tramontana esce sul poggiolo, anche in vestaglia, e si lascia lambire dal vento. Chiude gli occhi ed è già a molti metri da terra. Siamo a Genova e non dovrà aspettare molto per quelle folate, domani pomeriggio potrebbe già replicare il suo momento di gloria. In casa ci sono i ragazzi e il compagno che aspettano la cena, ma non c’è normativa che possa toglierle quel centimetro di libertà.

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Il calcio è la sua ragione di vita, corre dietro al pallone come un animale da riporto. Avanti e indietro per il prato. Poi a destra. Poi a sinistra. Scarta. Passa. Tira. E poi da capo. Ancora, e ancora. Qualche giorno fa gli hanno detto che non può raggiungere il suo campo. Non può correre intorno all’isolato, pena la multa. Così corre lo stesso, in casa, per la gioia dei vicini. La sera riguarda i grandi del passato, urlando allo schermo ciò che avrebbe fatto al posto di quel centravanti. La quarantena sarà lunga, soprattutto senza nessuno che gli lavi quei pantaloncini sintetici.

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Crede di aver scelto bene a vivere con i suoi. Cosa ha da perdere? Vede le sue amiche quando vuole e quando non gli va, torna in tempo per la cena. Se la cava benissimo. Da quando è diventato l’addetto al supermercato si diverte un po’ meno, a dirla proprio tutta. Una volta è tornato con una busta di insalata troppo gonfia e delle banane tanto scure da sembrare carbonizzate. Sua madre da allora chiede le bottiglie di acqua minerale in vetro. In tutta la città le hanno di una marca sola e almeno quelle non attenteranno ai suoi reni. A sentire la televisione, le calmeranno anche i nervi. Sta considerando di scrivere liste della spesa sempre più dettagliate.

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Si è pavoneggiata per anni di avere un terrazzo grande, con lo spazio per tenere i brunch, gli spritz, gli happy hour…e qualsiasi cosa non potesse essere imitato dalla vicina. Ora solo i gabbiani sembrano ricordarsi di quel terrazzo. E lei vorrebbe dimenticarsi di doverlo pulire. Si pente di non aver chiesto al suo nuovo compagno di stabilirsi lì. Forse credeva di avere più tempo per farlo. Sta considerando di riempire il vuoto emotivo con quelle piantine che ha visto su Instagram. Pare che anche il vivaio di zona oggi sia chiuso, o così le ha detto Siri.

Grazie a chi ha letto queste righe e ha speso qualche secondo per mandarmi un suo pensiero al riguardo, anche se in privato.

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