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Nei suoi panni ovvero storia di 10 mascherine

Microracconti Covidcorrelati, dopo i Racconti di quarantene immaginate, torno a scrivere di questo periodo sciagurato, buona lettura!

Questa era in un parco pubblico, al centro della città. Dopo tanto verde, la vista di qualcosa di rosso tra le sbarre esterne di un cestino di ghisa, ha attirato la mia attenzione. Peggio ancora, pareva sorridere. In un’altra vita forse sarei passato oltre, per fuggire da quel dettaglio inquietante, invece mi sono avvicinato per liberarla, prima di gettarla del tutto…

… Ma facciamo un passo indietro, quello che state leggendo è un piccolo resoconto nato tra il 2020 e il 2021. Non mi sono dato alla lavorazione della ceramica, ma come altri ho cominciato a coltivare un nuovo passatempo. Colleziono ipotesi. Nello specifico le ipotesi elaborate partendo dal ritrovamento di mascherine… usate. Certo, ora starete pensando che io abbia qualche problema psichiatrico e che il passo tra me e chi acquisti intimo usato su internet sia breve. Beh, lasciate che vi racconti la storia delle mie preferite, diciamo 10 tra quelle che ho collezionato, o forse ho inventato di sana pianta, nell’ultimo anno. Sappiate che per lavoro le raccolgo, certo, ma poi le avvio verso lo smaltimento. Nessuna differenziata per questi rifiuti, dritte nel secco. Il mio nuovo hobby si colloca proprio in quel momento, nell’ultima occasione che hanno di raccontare la loro storia a qualcuno. Ma dove eravamo? Ah sì, la mascherina rossa.

top 10 storie che ho raccolto da 10 mascherine

Questa sono certo che non sia comune. Non ho mai pensato a una scala di rarità vera e propria, ma dovessi inventarla oggi, direi che questa è almeno un oro: è la mascherina di un clown. Ora, non vado al circo da quando ero bambino, ma non serve un detective privato per arrivare al proprietario di questa numero 1. L’interno è come una Sindone pagana dipinta a colori acrilici, un’esplosione pigmentata e luccicante. Capisco il suo proprietario, più di quanto sia in grado di scriverne. Quando si fa un lavoro per vent’anni è difficile smettere di botto, anche quando dei fattori esterni ti obblighino a una brusca frenata. E così questo tizio, che a ogni canto del gallo si è sempre pittato la faccia per andare in scena, per le prove o per le feste di compleanno… finita la zona rossa, va nel parco e si fissa in un punto a caso, facendo di quello il suo palco. Alla sera toglie la chirurgica bianca, in tono con la base del cerone, e la getta per indossare l’ffp2 che lo condurrà nel traffico, fino ad arrivare a casa. Non conosco tutta la storia di quest’individuo, nè saprei dire il suo nome, ma sono passato da spettatore della sua arte a maneggiare una delle sue mascherine. Io dico che c’è più confidenza in questo scambio che nella richiesta di qualunque autografo.

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Modello standard, una chirurgica azzurrina. Il bordo superiore è rimasto sagomato in maniera pronunciata, come se fosse appena caduta dal volto del proprietario. Anche i lati sembrano particolarmente accompagnati, come se la testa contenuta lì dentro fosse più piccola del previsto. Ancora una volta non so niente di certo, ma io dico che chi ha fatto la riparazione e chi l’ha fatta arrivare lì non sono la stessa persona. Ciò che è certo, è che che vorrei avere il metodo di questa “riparatrice” in Autunno, quando le foglie ai lati delle strade sembrano più di quante se ne possa raccogliere in una vita. Ho parlato di un artefatto più noioso di altri, e potreste chiedervi dove sia la sua particolarità, eccoli qui: 40 punti di spillatrice, 10 per ogni estremità dei due elastici. Praticamente verrebbe bloccata in qualsiasi aeroporto come ferraglia impropria. L’apologia dell’eccesso di zelo, ne ho un esempio da quanto ho trovato questo esemplare. Dare 40 punti di spillatrice solo per arrivare davanti alla farmacia e poter comprare la scorta per i giorni successivi, ecco l’immagine che mi sono fatto della mamma che manda il figlio a comprare un pacco di chirurgiche. La partita di imitazioni cinesi comprate su eBay ha ceduto, ma la sua cancelleria direi che ha saputo compensare. “Cartopazza”, ho letto questo aggettivo di recente, informandomi a proposito di un’agenda che pensavo di comprare per appuntare i dettagli della mia collezione. No, direi che il termine non rende giustizia a questa madre e alla sua opera.

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Traforata. Oh sì, ne ho rinvenuta una con tanti piccoli buchi, dove non dovrebbero essercene. Non avessi elaborato una storiella anche qui, potrei far finta che si tratti di una parte dell’elmo di un cavaliere. Sospetto siano stati fatti con la punta di un compasso, ma forse è solo suggestione. Ho scommesso sul geometra, vedovo, che ha deciso che prendere questo virus possa essere il biglietto del viaggio che aspetta da troppo tempo. Cosa penserebbe se sapesse che ho svelato il suo piccolo/grande segreto? Avrà dei nipoti a cui potrei dire che il loro nonno sente così tanto la mancanza della compagna di una vita? Potrei forse smussare tutti i compassi di casa sua per impedigli di far scempio dei suoi Dispositivi di protezione individuale? Non ho idea di chi sia la persona di cui sto parlando, ho solo fatto i miei famosi 2+2, quelli per cui chiunque non si chiami Holmes di cognome potrebbe essere deriso. La mia teoria finale? Questo è un anziano risparmiatore che ha deciso che: morire prima del tempo, sì, dover pagare una multa per non aver messo la mascherina… anche no.

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La Numero 4 è una chirurgica gialla. Cosa la rende tanto speciale? Questo è il mio carrillon silenzioso di un pomeriggio di sole di inizio giugno. Il mio lavoro non è fatto per vanità come gli occhiali da sole, ma l’ho sentita arrivare, ancora prima di scorgerne le caviglie bianche sotto al vestito fiorato. Canticchiava sotto la mascherina, come se volesse celebrare l’arrivo dell’Estate senza dare nell’occhio. Ora, a scanso di equivoci, coprire la bocca impedisce agli altri di cogliere il vostro labiale, ma non di sentirvi cinguettare. Qui mi concedo una breve digressione poetica: Oh giorno felice quando quella mascherina cadde a terra obbligandola a preferirle quella di scorta! Tornando a riferimementi più popolari, vorrei fare con questa quello che avrete visto fare da Ursula con la conchiglia nella Sirenetta Disney. Avrei voluto poter registrare quella melodia senza sembrare da ricovero. Quando le giornate grigie si sommano a una serie di altre giornate grige, torno a quella istantanea . La sua voce non manca mai di ricordarmi almeno 3 delle cose belle della vita: la musica, la luce del Sole e l’ondeggiare di una bella gonna.

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La 5 sembra quasi a disagio tra le altre, come si stesse lamentando di non aver avuto l’occasione di andarsene un po’ a spasso. Ovviamente non è in questa selezione la sua presunta capacità di esprimersi. L’ho vista dal treno, incastrata tra un’inferiata e il vento, e ho deciso di scendere alla prima stazione utile per andare a recuperarla. Nelle conversazioni da tavola il netturbino è accompagnato da attributi onorevoli e altri moti di affetto, ma per strada diventiamo parte dello sfondo. Quel giorno non avevo divisa e il mio andare a rimuovere quel rifiuto ribelle era del tutto spontaneo. L’idea del mio nuovo hobby non aveva ancora preso forma, ma quella è stata la volta che qualcuno ha seguito con lo sguardo il mio quieto oppormi al caos cittadino. Una condivisione breve quanto intima, che mi ha lasciato l’impressione di aver scelto davvero il mio lavoro per vocazione e non perché mia zia mise una buona parola con il selezionatore. “È un bravo ragazzo sa, scopa molto meglio di quanto non studi”. Una gran donna mia zia, poche persone sanno ostentare l’ innocenza di usare un doppio senso tanto meditato e farlo risultare banale.

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Questa è la prova di una doppia vita, di un fedifrago vecchia maniera. Beh, quasi vecchia maniera, tutto considerato. L’uomo che passa con a-periodicità dal cestino centrale di via Pozzo ha due colori di mascherina ricorrente, una verdone e una blu scuro. Chiunque di noi avrà alternato modelli diversi dall’inizio del tutto, ma in questo caso è il dettaglio cromatico è quello che mi ha permesso di collegare il resto. Questo, e aver colto una frase mentre parlava al telefono “ma certo cara, metto sempre quelle che mi hai preso tu, lo sai che il verde è il mio colore preferito”. Di certo non ne indossava solo di quel colore, ero certo di averlo visto gettare anche delle versioni blu. Le avevo notate perché la loro forma sagomata mi era sembrata comoda e avevo pensato di dotarmene anche io. La pantomima si è ripetuta diverse volte, fino a che non ho colto lo schema. In una casa indossa le une, in una casa le altre. Un pegno d’amore indossato con orgoglio, a volte per l’amante numero 1 – la donna che acquista per lui pacchi interi di quello che crede sia il suo colore preferito. A volte per l’amante numero 2 – l’uomo che condivide con lui la sua scorta personale che viene direttamente dal suo posto di lavoro. Non lo incontro da mesi, ma il cestino di via Pozzo sgombro di bandierine verdibluastre mi ha suggerito un epilogo possibile: quell’uomo tanto premuroso da esserlo con due persone, ha perso le premure dell’uno e dell’altro.

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Ogni tanto passo anche il sagrato della chiesa subito fuori dalla mia zona. Non sono tanto ateo da rifiutare degli spiccioli solo perché inumiditi in acquasantiera. Da quella superfice di marmo scuro, ho ricevuto alcune elemosine non previste da quando ci lavoro. Questa forse è la più insolita. Un esemplare con gadget, se così vogliamo dire. Ho trovato non solo il ben noto rifiuto di cui stiamo parlando dall’inizio, ma anche la catenella che doveva adornare il collo del suo proprietario. ProprietariA, qualcuno che aveva abbastanza interesse per l’oggetto da acquistarlo, ma non abbastanza da raccoglierlo da terra per ripararne un gancetto reciso, aggiungo io. Questa ipotesi puzza un po’ di incenso bruciato quando ci ripenso, ma mi fa sorridere abbastanza da confermarla così come ve la sto per proporre: questa è appartenuta a una suora. Potreste obiettare che le spose del Signore non siano solite insozzare il suolo pubblico, e qui la cigliegina sulla torta della mia ipotesi: è germofobica. Ecco perché non si è semplicemente chinata a raccoglierla. Prega perché la pandemia finisca, ma prenota il vaccino in anticipo sulle sorelle, a costo di riprendere quella classe di bambini del catechismo piena di muco e ginocchia sbucciate. Chiamate pure i vostri stimatori del porno d’annata, questa è roba forte.

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Costosa, in tessuto sintetico, un delitto liberarsene così. Rischiava quasi di non essere interessante, con il suo logo da marca sportiva ben stampigliato davanti, un reperto popolare. L’ho tirata sù vicino alla bustina monouso di un’Ffp3. Facile partire con la narrazione alla Clark Kent di un medico il cui allenamento pomeridiano viene interrotto da una chiamata urgente in sala operatoria. Il cambio d’abito, come di accessori, tornerebbe. Impossibile da dimostrare. Trovare la protezione sanitaria a fine giornata probabilmente mi avrebbe raccontato storie di sudore, tracce di sebo per via degli elastici stretti e sentori di disinfettanti tanto impestanti da rimanere sulla tela, ma io ho trovato solo quella da tempo libero. Altra storia sarebbe stata ripescarla tra le scorie della raccolta ospedaliera. Mi accontento della mia teoria, non per niente non ho mai chiesto di essere assegnato ai rifiuti medicali. Posso sopportare le teste di pesce e la differenziata malfatta, ma i rifiuti da sala operatoria e obitorio sono un’altra storia. Con l’esperienza sul campo mi sono conquistato i giardinetti di quartiere e le sagrestie, non mi sembra il momento migliore per tornare a lustrare padelle e pappagalli.

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La 9 saprà ancora salsedine quando raggiungerà la discarica. Ho il dubbio che presto il vago odore di palude possa tramutare in qualcosa di ancora meno gradevole. Quella specifica dipartita acre e fetida che solo il ristagno può raccontare. Le disposizioni più stringenti sul traffico navale si applicavano a qualunque cosa avesse un motore o le gambe, ma questa viene dallo svicolare di un veicolo più silente: una barca a remi. Le scogliere deserte sono state le complici ideali per le fughe dalle normative terrestri dell’ex proprietaria di questa mascherina. È stata usata come copertura del volto fino a infeltrire e pian piano sfilacciare. Indebolita dagli schizzi d’acqua della risacca, si è offerta infine come tributo all’acqua. Io non sarò Poseidone, ma dover bonificare la spiaggia, pareva un contributo sufficiente a intercettare quell’offerta. All’occhio inesperto potrebbe sembrare come le molte scorie che riempono e riempiranno le coste, non a me. Io vedo la prova di un richiamo più potente della ragione, quello del Mare.

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La Numero 10 è l’unica di cui sono certo di avere il quadro completo. Un reperto la cui sofferenza occulta è l’omaggio della cassettiera inamidata da cui proviene. Dovete sapere che l’ex portatore di questa qui è una delle persone più pulite che conosco, unghie bianche sopra e sotto… e tutto il resto. Il perché questo sia un segreto tra noi, e i pochi intenditori dell’igiene a me noti, è presto detto. Dacchè lo conosco gestisce un posticino vicino al porto, una friggitoria. Dal giorno dell’inaugurazione del locale è come fosse diventato un re pirata, se non altro, ne porta nome di battaglia e mantello. Il Trucido nel suo avvolgente afrore di fritto. Dopo qualche settimana di chiusura del locale solo io e forse il suo cane avremmo potuto riconoscerlo. E i Dpi da lui indossati in quei giorni vorrei fossero da monito ai posteri. C’è stato un periodo in cui il confidente delle mie pause pranzo ha smesso di essere un bucaniere per ormeggiare sull’isola dei cassaintegrati. Possa quel giorno non tornare mai più, yo-ho-ho!

Ringrazio il mio compagno che con convinzione ha rifiutato i dettagli più morbosi di questi trafiletti, fino a farli tornare qualcosa che fosse più fedele all’episodio precedente. Ancora una volta, lo spazio per i commenti al mio scribacchiare è nei commenti a questo post o in tutti i social network a cui sono iscritta.

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