Il pasto malinconico di chi non dorme, ma sogna casa.
Letto in: La taverna di mezzanotte n. 1, Yaro Abe, Bao Publishing
[Pubblicato per la prima volta nel 2007 – serie ancora in corso, 304pp. Formato:15 x 21 b/n]
In estrema sintesi: ★★★★
Buio, sullo sfondo solo insetti insonni e lo sferragliare di un treno lontano. Entri in una tavola calda da cui ti sembra uscire una luce accogliente. Ti siedi al banco, ti guardi intorno. Sono le 3 e ti fanno male i piedi. Ecco perché ordinerai il piatto fuori menù, quello con l’ingrediente segreto in grado di portarti dove vorresti essere davvero, a casa. Fortunatamente non è la trama di un film beat e quell’ingrediente segreto non è un cocktail allucinogeno, ma quel qualcosa che usava tua madre quando eri bambino per farti mangiare la minestra o il profumo a cena del tuo grande amore quella sera di settembre. Quella roba lì. Ecco l’ingrediente segreto del cambusiere di questo diner, la sua versione delle scarpette rosse di Dorothy. Forse con meno crack. Finito il piatto non resta che tornare alla notte, rimasta in attesa fuori dal locale.
Midnight diner è una serie che ho guardato nella mia fase da gourmettelevisivo. È venuto giusto poco dopo il fanatismo conservatore da Bake off – categoricamente in versione Uk – e la rivoluzione sbarazzina del viaggiare con Phil. Ecco, questi racconti da Tokyo sono poco televisivi, almeno non nel senso più occidentale della cosa. Può capitare che in un momento di distrazione il vapore del ramen sembri il coprotagonita della puntata o ci si ritrovi a chiedersi quale sia il destino dell’ultima delle comparse in fondo all’inquadratura. La prima stagione mi ha vista imprecare dalla frustrazione data da un finale aperto. Uno per ogni puntata. E comunque io e il mio vicino abbiamo continuato a premere “play” tutte e dieci le volte. Fino a finire la prima stagione, affamati di brodini fumanti a costo di trovarsi a sorbire dadi Star.
Diversa è la questione del fumetto da cui è tratto.
Il Manga di Yaro Abe è una raccolta di racconti quasi compiuti, i cui finali soddisfano più di tanti incontri in tavola calda. Metto sù “Gente nella notte e torno”. Ecco. Questo è uno di quei locali di cui cantava il giovane Jovanotti, uno di quelli che ri-popolano la notte delle grandi città. Una storia che si è scelto di raccontare a puntate, a ogni capitolo corrisponde una comanda e una storia che l’accompagna. Ci sono dei personaggi ricorrenti, ma il filo conduttore sono solo la taverna e il suo proprietario.
Il segno di questo autore è un tratto sottile di inchiostro, nemmeno dei più raffinati. Si notano dei volti incontrovertibilmente brutti. Monosopraccigli malfatti e altre amenità. Tuttavia la stessa mano è quella capace di fotorealismo quando si tratti di uova sode. Mi sono chiesta quanto si tratti di una mano malferma e quanto sia sua precisa intenzione lasciare che la maggior parte dei dettagli dei volti sia lasciata all’immaginazione. Lui delle narici te le da, credo stia al lettore farne un naso.
È buffo come lotte fratricide tra diverse ricette di ramen suonino simili alle diatribe sulla quantità di aglio nel pesto. Ecco, tra le ricette della nonna del vicino e i pasti take away scodellati prima di uscire per andare a lavoro, questa è una storia che parla sì di Giappone e di piatti tipici dell’estrema Asia, ma che più di tutto, come tutte le storie gastronomiche parlano dell’essere umani.
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Non c’è meta più agognata e più assurda di chi stia viaggiando verso una casa che non ha ancora. Ecco il genere di malinconia che ho trovato da queste parti. Della serie, nostalgia di guerre mai combattute con lo spadone a due mani. Il mio consiglio per la serie tv, come nelle migliori cene, è: pianifica uno streaming sincronizzato alla Prismatic310, punta la sveglia con il tuo penpal in Australia… Fai quel che credi, ma guarda Midnight diner in compagnia e riscopri i tuoi ricordi d’infanzia tra le pieghe di un noodle.
Buona notte, io torno a una delle mie playlis in tempo per: TWO-minutes-too-MIIDNAAAAIT!